La giusta distanza

Oggi il dolore vale doppio, perchè in questa solitudine forzata io che sono fuori dal mondo da mesi non ci sto neppure troppo male. Io che sono inattiva posso finalmente sospendere il giudizio su me stessa e sentirmi “normale”, così che la mia vita si avvicini a quella surreale degli altri. Certi giorni mi manca uscire, fare una passeggiata, prendere un treno, vedere una mostra, andare al mare, partire e il viaggio. Certi giorni mi mancano le poche uscite che faccio con i pochi amici che ho. Sono un essere asociale per natura ma mi manca qualcosa sempre e da mesi sto cercando di combattere la mia dipendenza emotiva per accrescere una solitudine positiva. Non che non mi manchi la gente, ovvio che mi manca, anche il solo sfiorare le persone per caso mi manca, ma in questi giorni in cui assisto a uno scarico d’ansia e infelicità sui social io mi rendo conto di soffrire meno di loro, forse perchè più abituata o abituata da prima. Ciò che fa male e non mi fa resistere sono le manifestazioni d’affetto. Perchè finché le persone si lamentano della solitudine io le capisco ma quando gioiscono ad esempio per gli aperitivi che fanno via skype, mi sale un sospiro. In questi giorni si vede la vicinanza di chi vuole stare vicino. Io le cerco tutte le persone. Nessuno che mi scriva come stai. Si potrebbe dire che non gli lascio la possibilità di farlo, è possibile, ma la paura che si dimentichino di me è tanta. É solo paura e questo significa che di lavoro su me stessa ce n’è ancora un bel po’ da fare perchè se la mia parte razionale SA che sono giorni difficili, che “ci si dimentica” per gli impegni, perchè si hanno altre e giustissime priorità e non significa che si spazzino le persone dalla propria testa, la mia parte emotiva è infantile e primitiva. Si aggrappa come una bambina a misere attenzioni e sommerge di domande per evitare di farsele e rispondere. Certi giorni mi impongo un blocco da sola ed è durissima, cerco di limitarmi, poi sento dei morti, di chi vuole andare a correre, delle bare da Bergamo, dei contagiati che aumentano, del bisogno di medici (che se fossi stata medico o infermiere sarei andata, e questo lo so senza presunzione ma so anche che in questo momento non servono stolti pronti a lanciarsi ma persone preparate e pronte a sacrificarsi duramente). Certi giorni in cui nessuno e neppure la mia famiglia mi chiede come sto, ringrazio il mio cane, il mio compagno, l’avere una casa e disinstallo tutte le applicazioni social così da non dover leggere le tristezze, le felicità, le lamentele e le stronzate. La gente muore là fuori e non è il momento dei vittimismi.

Le persone provano a mantenere una parvenza di normalità con le proprie azioni perchè hanno giustamente paura del futuro, ed è una paura che conosco fin troppo bene, così adesso che ce l’hanno tutti io me la concedo a dosi inferiori del mio vivere normale; ma la mia normalità nelle ricorrenze mi devasta.

Oggi la festa del papà è un surrogato di normalità che io non ho mai avuto. Così con l’uomo con cui parlo solo via messaggio provo a riproporre la normalità degli altri. Noi però siamo stantii da anni, puzziamo di falso e così la normalità degli altri è la mia ansia, e mi sale una solitudine che non so controllare, che in tempi normali avrei rinchiuso dietro una passeggiata, una mostra, un giro per negozi solo per non vedere e affogare tra vestiti che non avrei comprato. Mi manca quel tipo di rapporto che vedo in quelle foto di contatti. E so che non sono tutti rapporti idilliaci ma me ne basta una perchè mi senta uno schifo. Sono così meschina o meglio la mia coda di paglia è così grande che mi basta vedere una sola persona serena con suo padre da sentirmi sola.

E il rapporto con mio padre è l’unico che non ho voluto affrontare in tre anni di terapia, ho sviscerato tutto su mia madre: l’ho incolpata, odiata, messa a distanza e poi di nuovo odiata, l’ho compatita e ancora oggi provo dolore ogni volta che vorace di vita altrui mi offende e si prende a morsi pezzi della mia. Il rapporto con mio padre sta in fondo, nell’angolo più buio, dove non posso andare, dove ci sono scene di quotidianità che ho rimosso per proteggermi, dove ci sono urla, parole cattive e oscene, ci sono mani sui polsi, fragilità, miserie emotive e tanta tantissima solitudine. Non c’è conforto e nessuno sguardo amorevole, non c’è la minima protezione, non c’è amore.

Se è vero che impariamo dai nostri primi rapporti con gli altri e quindi con i nostri genitori, spesso mi sono chiesta se sono capace di amare veramente qualcuno. Se non è solo una richiesta di uno abbraccio e di uno sguardo che non potrò mai avere. E se è vero che si ripropongono gli stessi modelli sto faticando enormemente per spezzare quei parametri e costruire nuove traiettorie ma la dipendenza emotiva, rimane. E la vedo nei rapporti che creo, dove a un certo punto ricreo lo stesso schema e un estremo bisogno di essere vista, accolta, capita viene fuori e divora tutto il buono che si stava creando. E le persone si sentono sommergere da tanto e scappano.

E me lo dicono tutti i terapisti e me lo ripeto in continuazione; posso solo ridimensionare nulla di più. É illogico e utopistico crede di poter diventare immune dall’essere bisognosi essendo l’uomo stesso un animale bisognoso.

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Pubblicato da Deserthouse

Innamorata della musica della chitarra e della scrittura, ho un blog che aggiorno spesso, amo leggere le cose scritte da altri, qualsiasi cosa possa darmi uno spunto di riflessione, o farmi indugiare in una sensazione. Come tutti sto cercando il mio posto nel mondo sperando che ci sia un climax ascendente nel mio finale.

17 pensieri riguardo “La giusta distanza

  1. “Io che sono inattiva posso finalmente sospendere il giudizio su me stessa e sentirmi “normale”, così che la mia vita si avvicina a quella surreale degli altri.” Grazie mille per aver condiviso questa frase.

    Per il resto valuta questa cosa: se nessuno conosce il tuo carattere o il tuo modo di amare, le persone non possono ricordarsi facilmente di te. Metti in campo te stessa con tutti i difetti, ma senza secondi fini. Abbi cura delle relazioni, proponi e fai tu il primo passo. Fallirà 999 volte e più, ma alla millesima ne sarà valsa la pena.

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  2. Wow, complimenti, DesertHouse!

    Un post così profondamente completo: le forti emozioni del passato (la figura del babbo), le acute riflessioni sull’oggi (l’emergenza sanitaria) e poi la previsione su come affrontare il futuro (ridimensionare, accettare la natura più propria dell’uomo quale animale bisognoso, “animale non definito” – R. Girard -). Grazie per il viaggio temporale che tocca mente e cuore. Ne sono uscito dalla lettura con un pizzico di amarezza ma ad un tempo con più slancio per dire, per dirti e per dirci: FORZA, FORZA… la giusta distanza, il giusto modo, la giusta meta… FORZA, FORZA!

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  3. Stavo per risponderti dal mio post ma ho visto che avevi pubblicato tu e preferisco risponderti da qui.

    Ti avrei detto che tu essere privilegiata era molto diverso dal mio perché tu hai tanti problemi di lavoro di reclusione di bisogno di realizzarti. E tuttavia sei così generosa da riconoscere agli altri maggiori difficoltà.
    Su tutto il resto non voglio esprimermi posso solo ascoltare perché anche io sono stata in analisi per molti anni e so che bisogna rispettare gli altrui passaggi e soprattutto è un dovere verso i terapisti che ci seguono.

    Sherabbraccicari🌷

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  4. Mi affaccio a guardare il tuo giardino e rimango comunque affascinato dal tuo mondo, dal tuo modo di affrontare questa Vita che ci spetta, col coraggio e col disagio di chi ha una sensibilità fuori dal comune.

    Sei stata una magnifica scoperta !
    Ciao.
    Stefano.

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