Scrivere questo post è una delle esperienze più difficili della mia vita, ma oggi è una settimana e bisogna andare avanti. O quanto meno provarci. Mi accorgo solo adesso che non ho tante parole e ciò che vorrei e potrei dire è soffocato dal dolore fisico e mentale.
Ho fatto un’interruzione terapeutica di gravidanza. Scriverlo è strano, non ci credo ancora, è passata una settimana, eppure una parte di me non ci crede.
Ho dovuto farlo. Un atto d’amore.
Lunedì 26 ottobre ci hanno dato brutte notizie. Una parte del cuore non si è formata. Hanno prenotato subito un’ ecocardio fetale e la settimana fino al 2 novembre è stata lenta e delirante. Mi hanno detto da subito che se volevo interrompere ne avevo facoltà ma di aspettare il referto del cardiologo fetale.
Il 2 novembre in corridoi vuoti ho atteso l’ultima visita. Poi un lettino in uno stanzino spoglio, il gel freddo sulla pancia e 4 persone a fissare un monitor. Il referto con annesso consulto subito dopo nella stanza di fronte, su sedie di legno come quelle delle scuole superiori vecchie e senza braccioli.
Ricorderò per il resto della mia vita la cardiologa che fa un disegno di come funziona un cuore normale e poi dice che il tuo non funzionerà mai così. Ci sono tre tipi di cardiopatie, la tua è grave. Finché sei dentro di me sei vivo dopo sarà diverso. Non piango. Lo so. Lo so da un po’, dall’ultima passeggiata insieme, lo so perchè volevo vedere il mare e farti sentire l’odore attraverso di me, lo so perchè ho avuto paura per mesi. La sofferenza sarà solo mia, me ne faccio carico io. Tu non devi soffrire.
Mi hanno dato la prima dose martedì 3 novembre in un corridoio dopo aver aspettato quasi 6 ore, un prelievo e il tampone. Ho fissato la pillola per qualche istante, vicino a me un gruppo di infermieri chiacchierava. Ho pensato:”adesso inizia la fine”. Poco più in là un papà portava a fare un giretto nel corridoio una neonata. Ho pianto mentre attendevo in uno stanzino che la pillola non mi provocasse reazioni allergiche, con in sottofondo il pianto di altri neonati presenti nel reparto.
Sei stato con me due giorni, in cui ancora ti sentivo muoverti dentro la mia pancia e poi un travaglio doloroso di 12 ore. Non sapevo come respirare, è la mia prima gravidanza, non sapevo facesse tanto male. Mi hanno riempito di farmaci ogni tre ore per indurmi il parto, ma il mio corpo resisteva. Mi hanno lasciata sola con le mie contrazioni che non mi dilatavano mai abbastanza. Almeno ero in una stanza da sola ma soffrivo e mi dimenavo e la morfina non bastava e il tubicino della flebo si chiudeva. Le ultime 5 ore avevo contrazioni ogni minuto e tutte le volte che passava qualcuno chiedevo se fossimo vicini alla fine. Ho pregato un’ostetrica di togliermelo, non ne potevo più. “Ti prego aiutami. Fa tanto male”.
Sei nato alle 22 come me, ma tu eri senza vita. Per fortuna ho avuto due ostetriche l’ultima ora che sono rimaste con me a tenermi la mano e a dirmi come respirare per resistere al dolore delle contrazioni. Le ho ringraziate tanto. So che sono momenti di pressione per il personale sanitario, sono stata fortunata ad avere loro.
Ho chiesto di vederti. Mi hanno portato degli opuscoli di un’associazione di genitori che hanno subito la stessa pena e poi piccolo ti hanno portato da me. Ci hanno lasciato da soli e ho potuto guardarti e sfiorarti. Ti ho parlato ma quelle parole sono solo per te. Ti ho baciato e coccolato e sei rimasto con me tutta la notte. Ti ho tenuto sul mio petto e non ho dormito. Il tuo corpicino non pesava nulla, ma eri perfetto. Alle 6:12 sono venuti a prenderti, ti ho dato due baci e ti ho lasciato alle mani di un’infermiera. Qualche ora dopo mi hanno dimessa e sono andata a casa.
Il primo giorno è stato terribile, ho pianto 4 o 5 volte, non sapevo come resistere, come sopravvivere. Mi hanno chiamato dal consultorio, un’infermiera sotto pressione dell’ostetrica mi ha organizzato un appuntamento con una psicologa per venerdì 13, sembra un vecchio film dell’orrore.
Ho tagliato i capelli e li ho fatti scuri. Un’amica mi ha invitato a casa sua a fare dei tortellini per distrarmi. Ho detto a chi non lo sapeva ciò che era successo, stando sul vago perchè il senso di colpa e di impotenza è forte. So che avrei imparato prima o poi che non potevo proteggerti da tutto ma così no. Ho scoperto che succede molto più di quanto si creda ma non se ne parla e lo capisco bene. Ho amiche che mi cercano e sono fortunata, la mia famiglia si è rivelata quella che è anche in questa occasione ma ho trovato all’esterno, nel mio compagno e nel mio cane la forza per continuare.
Certi giorni il dolore è così dolce che verrebbe facile accoccolarsi tra le braccia dell’autocommiserazione e inebriarsi di rabbia e disperazione. Ho bevuto un po’ ma non è servito, anzi mi ha provocato ancora più tristezza. Resisto mezza giornata alla volta. Fanno male tantissime piccole cose, i ciucci in farmacia. I passeggini per strada, una bambina che corre felice verso il suo papà, i post su Facebook con i bambini e i loro compleanni, la pubblicità del latte in polvere, gli altri pancioni, la voce del mio nipotino al telefono, ma resisto.
Impossibile per me dimenticarti a prescindere se avrò o meno altri figli, tu sarai sempre il mio primo bambino. Imparerò a convivere con questo dolore e spero solo di poterti rivedere un giorno amore mio.