Frattale

Foto di Ralf Kunze da Pixabay

Ho bisogno di leggerezza.

Oggi ho scritto “Se sono fallimentare come essere umano come non potrei esserlo come altro”. Poi circa due ore dopo ho ricevuto un messaggio da mio fratello. “neoplasia medio grave”. Si è operato due settimane fa. Gli hanno tolto un tumore in stadio avanzato. Sapevamo che doveva fare altri controlli e questo è solo il risultato dell’esame istologico. Adesso dovrà rifare gli esami del sangue per i marcatori tumorali e una tac total body. Se dovesse avere “altro da ripulire” dovrà fare la chemioterapia o la radioterapia.

Ho letto il suo messaggio due ore dopo aver pensato a me, ai miei fallimenti, ai lavori che ho lasciato, a quello che dovrò trovare o inventarmi e lo so che vale per molti che sarà diverso per tutti ma in certi giorni non vale mal comune mezzo gaudio. Ero appena uscita dalla farmacia, l’autorizzazione in borsa, l’auto parcheggiata in uno di quei punti dove a ritmi “normali” in genere c’è la doppia fila. Ho letto il suo messaggio e mi sono sentita mancare, ero in auto e ho iniziato a piangere, lo so che non bisogna disperarsi che non si deve esagerare che l’ha tolto e non è detto che il resto sia contaminato ma mi ha distrutta. La mia fragile psiche non ha retto. Sono così stanca. Mi sento in quarantena da prima dell’inizio di questi arresti domiciliari e lo so che sono necessari e faccio tutto ciò che serve non esco, resisto, ma sono stremata da tutto ciò che c’era prima e che ora si aggiunge alla quarantena più questa cosa perchè non so come chiamarla di mio fratello. Certi giorni diventa tutto troppo.

Mio fratello ha sette anni più di me. Mi ha insegnato ad andare in bicicletta, da piccola mi faceva spaventare giocando a nascondino, prendeva il mio pupazzo preferito e lo “strozzava” e io bambina piangevo disperata. Mio fratello ha sempre invidiato il rapporto quasi simbiotico che si era creato tra me e mia sorella, poi ci siamo distaccati. Tutti quanti. Lo ricordo come un ragazzo fragile, inquieto, in perenne ricerca di conforto e risposte, ma chi di noi tre non lo è stato?! Ognuno ha cercato di sopravvivere come meglio ha potuto. Ce ne accorgemmo noi dei suoi tagli sui polsi. E poi dopo del DOC. Mio fratello è un uomo buono, debole, di quella debolezza che non è concessa a nessuno e soprattutto agli uomini. Mia madre, figlia di un padre padrone, l’ha massacrato da questo punto di vista e così lui è rimasto come bloccato per molto tempo alla ricerca di sé stesso. Ha seguito un percorso terapeutico per un po’, farmaci e sonno tanto sonno. Certi giorno dormiva fino a sera e la notte si teneva una bottiglia di vino vicino al letto per non pensare. Mio fratello ha un disturbo sessuale, è come se fosse rimasto indietro da quel punto di vista in un’età compresa tra la pubertà e l’adolescenza, ne è spaventato, ne prova ribrezzo e disgusto. Il corpo però chiede e le pulsioni se ne fottono di cosa la mente cerca e così ha sviluppato una forma di feticismo, innocuo ma diverso da ciò che si intende con il normale vivere la sessualità. E questa cosa del normale ci ha inseguiti per anni. Abbiamo cercato di essere normali senza riuscirci e allora del suo feticismo ne avevo paura, lo giudicavo, poi crescendo sono riuscita a riconoscerlo per quello che è. Un bisogno come un altro di contatto, sfogo. Il più normale e umano dei desideri. Anche io ho la mia piccola perversione, se così la si può chiamare, l’ho scoperta tardi durante la terapia, non così esplicita come un feticcio ma più subdola. Innocua per gli altri, devastante per me.

Credo che sotto quel profilo i miei genitori lo abbiano definitivamente massacrato. Lo so non si può dare tutta la colpa ai propri genitori e soprattutto quando si diventa adulti ci si deve anche fare pace con i propri demoni e il passato, la domanda è: e se non lo si diventa mai adulti?! E cosa ci dice che siamo davvero “grandi”?! L’avere un lavoro, pagare le bollette, compilare il 730, prendersi responsabilità maggiori forse?

Questa cosa di mio fratello mi sta massacrando lentamente, il nostro non è stato un gran rapporto, freddo per lo più e distante. Spesso mi sono ritrovata a pensare che noi cinque se non ci avessero messi insieme per legami di sangue avremmo frequentato altre persone, ma la famiglia non la scegli.

In questo periodo surreale e disgraziato dalla casa dove vive con mio padre, quella casa degli Usher terribile e così reale, mio fratello cerca me per trovare sostegno. Io che sono in terapia da quasi 4 anni a fasi alterne per distaccarmi dai legami di sangue per guardali con occhi neutri. Lui cerca quella che ritiene essere la persona più forte, o forse solo quella che non lo sovraccarica di inutile ansia.

Vorrei potergli stare accanto nel migliore dei modi. Vorrei davvero avere quella forza che vede lui, vorrei riuscire ad aiutarlo a gestire mio padre che da solo è un ostacolo enorme. Ogni giorno ci provo ma certi giorni si fatica perché arrivano le chiamate di mia madre che anche lei si appoggia a me e mi chiede di distrarla e io che da anni ormai sono abituata a tenere tutto dentro per evitare di avere punti deboli da attaccare non riesco soddisfarla come vorrebbe. Le appaio vuota, senza una forma precisa, inconsistente. Un frattale che possa modificarsi durante la conversazione. Le concedo solo ascolto e poi qualche risposta alle domande di economia per rassicurarla su fake news che ha sentito o letto, cerco di imprimerle un senso critico sano rispetto a ciò che legge, ma fatica così chiede a me e io ci provo usando le conoscenze che ho e tutto ciò che ho letto.

“È come se tu fossi la BCE e io l’Italia” e in questo periodo come sempre non potrebbe essere altrimenti.

Cucchiaio

immagine dal web

Sei fuggito, sarai stanco. L’unica volta che mi hai dato la buonanotte per primo è stato quando mi hai rimproverata, altrimenti scappi in silenzio. Crolli?! Forse. Solo che mi lasci nuda in un letto nel mezzo delle mie fantasie, e allora mi chiedo se faccio bene a raccontartele se non dovrei invece commentare i tuoi post con “sì hai ragione io credo che… buono il ragù… eccellente questa disamina, io però penso che…” e lasciare perdere il resto. Ho la presunzione di credere che tu non voglia questo da me, non perché non mi stimi e spero che tu lo faccia, ma perché hai già altri che ti dicono le loro opinioni. Altri che ti ricordano che fuori è un brutto mondo e lo è sempre stato solo che adesso siamo chiusi in casa. E per chi ce l’ha è già tantissimo. Non so neppure se faccio bene a dirti della mia vita privata, dei miei genitori. Dei miei conflitti. Perché dovrebbe importare?!

Nella mia fantasia stanotte avrei voluto che quell’uomo facesse come in quel film con Al Pacino e Michelle Pfeiffer, in quella scena in cui lui paga una prostituta per fare una posizione a cucchiaio; per avere qualcuno che lo scaldi, solo contatto fisico e niente sesso. Solo un abbraccio avvolgente e tenero, qualcosa che riuscirebbe a sciogliere anche le carni più dure. Forse mi è venuto in mente perchè fuori è freddo e perchè c’è un silenzio surreale. Sembra quasi che la città si sia riconvertita ad altro e l’aria è così pulita, se non ci fosse la morte fuori verrebbe quasi da respirare a pieni polmoni e ascoltare il silenzio così stranamente rilassante e consolatorio, almeno per me.

Oggi mia madre mi ha ferita in un modo strano, lei riesce a smontare anche il più puro degli entusiasmi, riuscirebbe a farmi sentire un fallimento anche se vincessi il nobel per la letteratura e contemporaneamente trovassi una cura per il cancro. Lei è così, è sempre stata così e non cambia che fuori siano morte sette mila persone o che ci si possa ammalare, lei troverà sempre e comunque un modo per sentirsi la vittima tra le vittime e tutti gli altri i carnefici ma allo stesso tempo sarà sempre desiderosa di carne da spellare e io non posso fare nulla per cambiare le cose. Non posso dare a lei quell’amore che non le hanno dato e che poi ha negato. Posso solo aumentare le protezioni. “Alzare gli scudi” se fossimo in un film e poi scappare nell’iperspazio. Non che volessi che tu mi dicessi “scrivi se vuoi scrivere e fottitene”, quello lo devo fare io, lo so. In realtà non volevo proprio nulla, anzi volevo solo liberarmene come se lanciato nell’etere potesse ferire meno.

In questi giorni bisognerebbe essere più dolci, più empatici. Nella paura bisognerebbe avere qualcuno o qualcosa che ci abbraccia a cucchiaio, che ci avvolge e ci stringe, che soffoca tutte le ansie, o quanto meno la speranza di poterlo avere un giorno. E non c’è nulla di più gratificante che afferrare qualcuno da dietro e cingerlo col proprio corpo, con una promessa di protezione. Sono questi desideri che mi hanno portato a quelle piccole richieste senza limiti di tempo che spero soddisferai.

Sono già le tre passate tu dormi e sei lontano da me a distanze senza unità di misura e so bene che non ci si può toccare ma spero tanto che il tuo corpo sia avvolto in morbidi abbracci, spero che stanotte tu possa sentirti protetto e sereno.

Notte Scrittore

La giusta distanza

Oggi il dolore vale doppio, perchè in questa solitudine forzata io che sono fuori dal mondo da mesi non ci sto neppure troppo male. Io che sono inattiva posso finalmente sospendere il giudizio su me stessa e sentirmi “normale”, così che la mia vita si avvicini a quella surreale degli altri. Certi giorni mi manca uscire, fare una passeggiata, prendere un treno, vedere una mostra, andare al mare, partire e il viaggio. Certi giorni mi mancano le poche uscite che faccio con i pochi amici che ho. Sono un essere asociale per natura ma mi manca qualcosa sempre e da mesi sto cercando di combattere la mia dipendenza emotiva per accrescere una solitudine positiva. Non che non mi manchi la gente, ovvio che mi manca, anche il solo sfiorare le persone per caso mi manca, ma in questi giorni in cui assisto a uno scarico d’ansia e infelicità sui social io mi rendo conto di soffrire meno di loro, forse perchè più abituata o abituata da prima. Ciò che fa male e non mi fa resistere sono le manifestazioni d’affetto. Perchè finché le persone si lamentano della solitudine io le capisco ma quando gioiscono ad esempio per gli aperitivi che fanno via skype, mi sale un sospiro. In questi giorni si vede la vicinanza di chi vuole stare vicino. Io le cerco tutte le persone. Nessuno che mi scriva come stai. Si potrebbe dire che non gli lascio la possibilità di farlo, è possibile, ma la paura che si dimentichino di me è tanta. É solo paura e questo significa che di lavoro su me stessa ce n’è ancora un bel po’ da fare perchè se la mia parte razionale SA che sono giorni difficili, che “ci si dimentica” per gli impegni, perchè si hanno altre e giustissime priorità e non significa che si spazzino le persone dalla propria testa, la mia parte emotiva è infantile e primitiva. Si aggrappa come una bambina a misere attenzioni e sommerge di domande per evitare di farsele e rispondere. Certi giorni mi impongo un blocco da sola ed è durissima, cerco di limitarmi, poi sento dei morti, di chi vuole andare a correre, delle bare da Bergamo, dei contagiati che aumentano, del bisogno di medici (che se fossi stata medico o infermiere sarei andata, e questo lo so senza presunzione ma so anche che in questo momento non servono stolti pronti a lanciarsi ma persone preparate e pronte a sacrificarsi duramente). Certi giorni in cui nessuno e neppure la mia famiglia mi chiede come sto, ringrazio il mio cane, il mio compagno, l’avere una casa e disinstallo tutte le applicazioni social così da non dover leggere le tristezze, le felicità, le lamentele e le stronzate. La gente muore là fuori e non è il momento dei vittimismi.

Le persone provano a mantenere una parvenza di normalità con le proprie azioni perchè hanno giustamente paura del futuro, ed è una paura che conosco fin troppo bene, così adesso che ce l’hanno tutti io me la concedo a dosi inferiori del mio vivere normale; ma la mia normalità nelle ricorrenze mi devasta.

Oggi la festa del papà è un surrogato di normalità che io non ho mai avuto. Così con l’uomo con cui parlo solo via messaggio provo a riproporre la normalità degli altri. Noi però siamo stantii da anni, puzziamo di falso e così la normalità degli altri è la mia ansia, e mi sale una solitudine che non so controllare, che in tempi normali avrei rinchiuso dietro una passeggiata, una mostra, un giro per negozi solo per non vedere e affogare tra vestiti che non avrei comprato. Mi manca quel tipo di rapporto che vedo in quelle foto di contatti. E so che non sono tutti rapporti idilliaci ma me ne basta una perchè mi senta uno schifo. Sono così meschina o meglio la mia coda di paglia è così grande che mi basta vedere una sola persona serena con suo padre da sentirmi sola.

E il rapporto con mio padre è l’unico che non ho voluto affrontare in tre anni di terapia, ho sviscerato tutto su mia madre: l’ho incolpata, odiata, messa a distanza e poi di nuovo odiata, l’ho compatita e ancora oggi provo dolore ogni volta che vorace di vita altrui mi offende e si prende a morsi pezzi della mia. Il rapporto con mio padre sta in fondo, nell’angolo più buio, dove non posso andare, dove ci sono scene di quotidianità che ho rimosso per proteggermi, dove ci sono urla, parole cattive e oscene, ci sono mani sui polsi, fragilità, miserie emotive e tanta tantissima solitudine. Non c’è conforto e nessuno sguardo amorevole, non c’è la minima protezione, non c’è amore.

Se è vero che impariamo dai nostri primi rapporti con gli altri e quindi con i nostri genitori, spesso mi sono chiesta se sono capace di amare veramente qualcuno. Se non è solo una richiesta di uno abbraccio e di uno sguardo che non potrò mai avere. E se è vero che si ripropongono gli stessi modelli sto faticando enormemente per spezzare quei parametri e costruire nuove traiettorie ma la dipendenza emotiva, rimane. E la vedo nei rapporti che creo, dove a un certo punto ricreo lo stesso schema e un estremo bisogno di essere vista, accolta, capita viene fuori e divora tutto il buono che si stava creando. E le persone si sentono sommergere da tanto e scappano.

E me lo dicono tutti i terapisti e me lo ripeto in continuazione; posso solo ridimensionare nulla di più. É illogico e utopistico crede di poter diventare immune dall’essere bisognosi essendo l’uomo stesso un animale bisognoso.

Dediche notturne

Foto di Rafael Serafim da Pexels

Perdonami sarai pieno di cose da fare pieno di impegni pieno di scadenze da rispettare. Forse io vivo fuori dal mondo. Anche se ci provo non riesco ad essere polemica con te. Hai ragione sono il perfetto esemplare di questo mondo ansioso. Vorrei raccontarti così tante cose ma ultimamente si è insinuato in me un pensiero. Giuro che non ti avrei detto nulla oggi ma poi la spesa con tutta quella gente con le mascherine, il discorso di Conte. Ho desiderato solo sapere se stessi bene. Se i tuoi familiari stanno bene, perché con tutti i miei difetti oggi ho chiesto a tutte le persone a cui tengo come stanno. Non è ansia in questo caso ma solo sincero interesse, ascolto. Non mi importa se hai cancellato la mia poesia per te, se hai cancellato i messaggi teneri e quelli pieni di sincero e viscerale desiderio. Non mi importa neppure se non ti frega come sto. Se sei pieno di impegni e non hai tempo per me o se al contrario ti stai stancando. Non ha importanza. Voglio solo che tu stia bene. E come sempre scusa per i miei messaggi lunghissimi, forse io vivo fuori dal mondo e non posso capire tante cose. È un periodo strano difficile, avrei bisogno di te, di distrarmi con te, di sentire la tua voce, di dedicarti tenerezze, di invitarti nelle mie fantasie più profonde, di giocare con te, ma forse non è il tempo per queste cose. Forse è il tempo del silenzio e della distanza, ognuno a gestire le proprie paure, le proprie giornate, i propri limiti. Forse vivo fuori dal mondo, oggi ho guardato una tua foto, ho cercato di collegare tutto ciò che ti ho detto a quel volto. È una strana forma di mancanza quella che provo per te: io ti conosco ma non ti conosco, io tengo a te ma non posso tenere a te e comunque con limiti, io ti desidero ma non posso parlarti, sentire la tua voce, non posso eccedere neppure col desiderio. Ti lascio un po’ di spazio un po’ di tempo avrai le tue cose serie giuste e necessarie. Fatti sentire quando vorrai.

Riflessioni notturne

È strano pensare al virus fuori, ai traumi che ci portiamo dentro. È un periodo strano mi sembra di essere ancora più sospesa. Le persone oggi stavano vicine passeggiavano e questa ragazza che ho incontrato solo due volte mi ha baciato appena ci siamo viste, le ho detto che avremmo dato scandalo. Ha parlato con me si è aperta abbiamo parlato di aspettative di pressioni sociali sul diventare madre e di lavoro che non c’è. Fa la giornalista freelance si sposerà a maggio. Le ho detto che vorrei provare a mandare il mio cv cambiando il mio nome da Emanuela a Emanuele per vedere che succede, mi ha detto che se lo farò ci scriverà un articolo. Io le ho risposto che non so se ne avrò mai il coraggio. Perché sarebbe troppo doloroso. Io posso studiare posso formarmi posso accettare che qualcuno sia più bravo sia più capace perfino che sia più conveniente di me, ma non posso cambiare la mia natura, sono una donna e tutto sommato non è orribile anzi ci sono momenti in cui amo ciò che sono così pacchetto completo. E allora mi scervello a cercare qualcosa che possa fare qualcosa che possa conciliare il mio essere donna con il resto ed è difficile e ho così poco tempo e voglio fare così tante cose. E vorrei avere 10 anni di meno per avere più tempo non mi importa di invecchiare non mi importa di imbruttirmi. È come se fossi stata assopita per anni e mi fossi svegliata da poco e gli altri sono avanti e io voglio fare così tante cose sono così affamata di desiderio, di libertà, è come se finalmente fossi cosciente. È difficile da spiegare o assurdo. La persona che ha vissuto quei traumi non sono io, non posso essere io ma fanno così male.

Touch

immagine dal web

ti vorrei solo toccare

confondere la mia pelle con la tua

offrirti le mie parole migliori

per vederle tacere nel fondo della laringe

per vedere ancora una volta applicata

una censura

che proviene da lontano

di pomeriggi passati a creare delizie di vita

così dolci da apparire pericolosamente indigeste ora

ti vorrei solo toccare

là dove fa più male

là dove la pelle è più sottile

e la mente registra anche i contorni

ti vorrei solo toccare

perchè non posso darti altro

che attese sbiadite

frastagliati pensieri inconsulti

di tutti i vorrei e i non posso

allora lascio che sia solo la mia pelle

a parlare per me

Lisbon revisited

Nulla mi lega a nulla.
Voglio cinquanta cose allo stesso tempo.
Bramo con un’angoscia di fame di carne quel che non so cosa sia –
definitamente l’indefinito…
Dormo irrequieto e vivo in un irrequieto sognare
di chi dorme irrequieto, mezzo sognando.
Mi hanno chiuso tutte le porte astratte e necessarie,
Hanno abbassato le tende dal di dentro di ogni ipotesi che avrei potuto vedere dalla via.
Non c’è nel vicolo trovato il numero di porta che mi hanno dato.
Mi sono svegliato alla stessa vita a cui mi ero addormentato.
Perfino i miei eserciti sognati sono stati sconfitti.
Perfino i miei sogni si sono sentiti falsi nell’essere sognati.
Perfino la vita solo desiderata mi stanca; perfino questa vita…
Comprendo a intervalli sconnessi;
scrivo a intervalli di stanchezza;
e perfino un tedio del tedio mi getta sulla spiaggia.
Non so quale destino o futuro compete alla mia angoscia disalberata;
non so quali isole del Sud impossibile mi aspettano naufrago;
o quali palmeti di letteratura mi daranno almeno un verso.
No, non so né questo né altro né niente…
E in fondo al mio spirito, dove sogno quel che sognai,
nelle estreme pianure dell’anima, ove ricordo senza motivo
(il passato è una nebbia naturale di lacrime false),
nelle strade, nei sentieri di remote foreste
ove ho supposto il mio essere,
fuggono in rotta, ultimi resti
dell’illusione finale,
i miei sognati eserciti, sconfitti senza essere esistiti,
le mie coorti ancora da esistere, sgominate in Dio.


Fernando Pessoa

La regola dell’uno

Ieri è stata una giornata surreale e non perchè vivo in una delle regioni con con casi di virus e neppure perchè sono andata al supermercato a fare la spesa per l’apocalisse. è stata surreale la conversazione che ho avuto con la mia insegnante d’inglese e scrittrice e amica (?). Sono tre mesi che dovevo recuperare tre lezioni già pagate, non capivo perchè me le spostasse di continuo perchè non si riusciva mai a recuperarle allora ho iniziato a pensare che il problema non fosse con la professionista ma con l’amica(?) le ho chiesto se avesse qualche problema con me e mi scusavo nel caso le avessi fatto qualche torto(?). Lei mi ha risposto che era stata molto occupata e che aveva avuto solo mal di testa e aveva deciso di privilegiare gli studenti con scadenze imminenti per colloqui, per test e mettere da parte quelli che non avevano fretta. L’ho ritenuto poco professionale ma non il fatto che mi avesse messo tra quelli che possono aspettare ma che non me lo avesse detto sì. Finalmente ieri ho questa lezione, io mi preparo perchè negli ultimi mesi ho studiato poco l’inglese mi rimetto a studiare daccapo facendo un ripasso di grammatica e le scrivo in anticipo che mi scuso perchè avrò un livello più basso di altre volte. La lezioni inizia con lei che mi chiede del lavoro, le dico che l’ho lasciato cerco di spiegarle in inglese il perchè ma è difficile molto difficile, la vedo sorridere e sogghignare, non capisco. Poi parte una sorta di attacco frontale: prima in inglese e poi in italiano, così che io possa capire meglio. Mi dice che sono tutte scuse che non troverò mai un lavoro dove non c’è frustrazione, io vorrei spiegarle di più ma per lei sono solo una povera scema che appena c’è una difficoltà scappa, o almeno questo sembro dalle sue parole. Mi fa pesare che siamo in crisi economica e io che lascio il lavoro, certo se me lo posso permettere ma così divento sempre più dipendente dal mio compagno e non mi fa bene, certo se non voglio lavorare e non voglio essere libera e indipendente sono scelte mie ma lei non crede che mi faccia bene, me lo dice sprezzante. Poi aggiunge che ho un compagno mediocre perchè non mi dice nulla e accetta le mie scelte, inadatto a me che poi anche lui poverino come fa a sopportarmi. Dopo avermi massacrato con ciò che è la mia massima coda di paglia passa al mio secondo argomento preferito: le relazioni con il genere umano.

Se parli con gli altri come parli con me come hai scritto a me è normale che ti blocchino che si allontanino, ogni tua parola è una richiesta d’aiuto, anche i commenti su fb, tu puoi commentare e io lo so che sei così perchè ti voglio bene ma le persone si spaventano da tutta questa sofferenza, nessuna la vuole è normale che la gente si allontani che ti blocchi e che ti tratti male. Ma non hai nessuno che ti aiuta? tu madre non ti dice nulla? io ti porterei a forza da uno psichiatra, che io non dovrei fare diagnosi ma per me tu hai bisogni dei farmaci, stabilizzatori dell’umore. Insomma è possibile che nessuno lo veda? e poi cosa vale la regola dell’1? un giorno quel lavoro, una volta la nuova terapista e un mese l’altro lavoro? ma non lo vedi ? forse tu non te ne rendi conto, e ti piace il tuo dolore, ti piace la tua angoscia ma è un circolo vizioso. Anche quando mi hai detto che non ti piaceva andare dalla nuova psicologa perché era nel tuo luogo natio ho capito subito che volevi aggrapparti alla tua angoscia e poi hai lasciato anche quello. Io lo ripeto se parli con le persone come hai fatto con me nessuno ti sta vicino, le tue sono tutte richieste d’aiuto. E poi chiudi i rapporti, certo scappi.

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La ascolto e piango e se avessi 15 anni chiuderei la chiamata, non riesco neppure a fermarla mentre parla, una lezione trasformata in un attacco frontale e io attaccata là dove fa più male là dove mi sento costantemente in difetto cioè il lavoro e le relazioni. Non riesco a dire nulla. Piango piango e non parlo, vorrei spiegare del lavoro ma avrebbe senso? vorrei giustificare ma perchè poi e a chi? Passo il resto del pomeriggio a interrogarmi su ciò che ha detto se ogni mia parola è una richiesta d’aiuto se sono messa così male come dice lei e sì LO SO BENE che non è normale il mio modo di affrontare alcune esperienze lavorative e me lo ricordo e sì LO SO BENE che posso diventare eccessiva perchè soffro di attaccamento e vittimismo ma cerco di contenerlo, almeno credevo di farlo. Mi critica perchè chiudo alcuni rapporti è una forma di richiesta d’aiuto ma gli altri sono legittimati a trattarmi di merda perchè “se mi esprimo così è normale che nessuno voglia starmi vicino che voglia vedere il mio dolore”. Si fa promettere che vada da uno psichiatra perchè “ci vogliono i farmaci”.

Per fortuna dopo il dolore, dopo l’autocommiserazione, dopo i pianti, dopo la rabbia e la frustrazione arriva il sarcasmo e il cinismo, così cerco e mi sforzo di prendere la parte buona della critica di trasformala in qualcosa di positivo, qualcosa per fare del bene a me, è dura durissima e fa male aver mostrato il fianco a qualcuno di cui credevo potessi fidarmi ma si va avanti e oggi ho chiamato già due specialisti, sono strapieni le psicosi da virus colpiscono tanto ma io sono messa bene perchè “hai un virus peggiore di quello che c’è in giro”.

Io adesso che ho il cinismo dalla mia parte vado a bere un bicchiere di vino e preparare il pranzo (e non è una richiesta d’aiuto).

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I will wait

Oggi mi è successa una di quelle cose pesantissime, intime, che feriscono in modo viscerale legate al passato. Alla mia famiglia, al mio dolore. A quella casa. Legata a ricordi lontani, umiliazioni passate che ribollono sotto masse argillose di terreno. Non posso parlartene perchè provo vergogna. Se potessi la nasconderei questa vergogna, sotto strati e strati di melassa ma verrebbe sempre fuori un’irritante disagio. Un vischioso acidume. Ci ho vissuto per anni con questa sensazione in corpo, la testa bassa, lo sguardo a terra le spalle strette e la schiena ripiegata. Forse per questo mi è venuta un’ernia. Pessima postura mantenuta a lungo, troppo a lungo… perchè nel proteggermi non ho protetto la mie membra, le mie ossa. Ho prestato il fianco pur limitandomi al massimo nell’esternazioni. Ti sto scrivendo ma non lo spedirò. Non devo. Ti ho detto che posso aspettare e devo aspettare anche se non c’è nulla di più sciocco di una donna che attende il rispetto di una promessa. è giusto così, siamo esseri lontani, tu e la tua vita attiva, io e la mia vita sospesa e sempre in attesa. Grama quando voglio essere brava a far la vittima.

Oggi le tue parole sarebbero stato unguento per la pelle, una mano sul dorso che raddrizza i movimenti, un bacio rassicurante sulle palpebre.

Lì c’è la tua vita la tua realtà e viene prima giustamente. Io sono un passatempo. Posso aspettare.

Tu no

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Ormai dovrei essere abituata a queste sensazioni, eppure non passa mai. Io ho cercato di fare del mio meglio, ma devo vedere le cose dal lato giusto.

Non pensavo che mi avrebbero chiamata per fare un colloquio all’ARPA, da ingegnere dell’ambiente mi sentivo contenta, pensavo che sì sono passati anni dalla laurea ma gli sforzi la costanza, la determinazione mi avevano premiato. Così sono andata a ricercare vecchi appunti e libri per studiare per il colloquio e saper rispondere alle domande. Ho cercato di fare del mio meglio e ieri sera sono stata fino alle due di notte a leggere, perché non posso ristudiare cose fatte più di 5 anni fa. Ho affrontato il fastidio e la delusione per questi anni passati ad annaspare, la rabbia per tutto quello studiare inutile e mi sono messa a testa china a cercare di prepararmi, anche se ogni libro ogni appunto mi ricordava l’abnegazione inutile di quegli anni. Quanto tempo sprecato? quanta energia buttata?

Credevo che dopo essere uscita da un lavoro dove la cosa più gentile che mi avevano detta era “tu resti lì e non ti muovi”; un lavoro dove ero svilita e sottovalutata credevo che questa opportunità sarebbe stata un riscatto, da questo lavoro senza neppure il riscaldamento, sfruttata, e un riscatto di quegli odiosi e inutili anni di studio e gli insulti di mia madre che mi diceva: “ti ci puoi pulire il culo con quella laurea”. e io imperterrita a voler dimostrare che no, non era vero che sarei stata capace, che potevo… un’ostinata ricerca di riscatto e validazione.

Mi alzo e vado al colloquio riesco a rispondere in modo cortese alle due domande, mi chiedono che cosa ho fatto, racconto brevemente mia ultima esperienza e , mi guardano come si guarda con pena un animale che zoppica. Chiedo se dopo ci sarà possibilità di rinnovo e mi rispondono di no, che riapriranno il posto ed eventualmente ci si può ricandidare. Dentro di me si insinua un pensiero: il posto è già assegnato a chi ha lavorato per un anno e si è ricandidato, in fondo sarebbe logico, perchè prendere uno nuovo se hai già una persona formata. Poi un altro pensiero: basta solo che uno dei candidati abbia fatto un dottorato o si sia laureato da poco e ha più esperienza e capacità di me e sceglieranno lui. Fornisco le risposte, il colloquio è facile, troppo facile, esco e non penso ad altro che agli altri due ragazzi con me. Un ragazzo e una ragazza entrambi più giovani. Certe cose le sento, le so, non è un portarmi sfiga da sola. Io lo so e basta. Non so bene se uno dei due fosse già stata assunto e questo fosse solo un colloquio farsa come non so se banalmente hanno più esperienza di me in quello specifico contesto. Decidono quasi subito, siamo in tre, è facile. Mi chiama l’agenzia e mi informa che su tre sono arrivata seconda nella graduatoria e che la prima ha accettato. Mi sento delusa, ripenso al mio “studiare” di ieri notte, ma in fondo che mi aspettavo? sono passati anni e non ho mai fatto in modo pratico questa cose solo tanta tanta tanta tanta teoria, è una cosa buona seconda su tre a 5 anni di distanza dalla laurea, vuol dire che ho ancora le capacità che non sono stupida. Eppure mi ci sento tanto.

Non contenta ieri mi arriva la convocazione per il personale ata, sono iscritta con il diploma in terza fascia. Una supplenza fino al primo marzo per collaboratore scolastico stavolta non tecnico di laboratorio. Penso che posso mettermi qualche cosa da parte e che in fondo di pulire lavagne e lavare i sanitari lo posso fare senza problemi. Così mentre che leggo attentamente di pluviometri, radar meteorologici, ietogrammi, distribuzioni dimensionali, rispondo alla mail e do la mia disponibilità.

Eppure stamattina in poco più di venti minuti non vado bene né per pulire cessi né per analizzare dati radar. Forse ho sbagliato ad andare via da quel lavoro, in fondo essere l’ultima ruota del carro, sottovalutata , denigrata e senza riscaldamento non era così male. che mi ero messa in testa? di poter fare di più? di più cosa ?

Piango lacrime amarissime e mi sento beffata, ancora una volta, seconda, vicino ma non abbastanza. Come col dottorato vicino ma non abbastanza per essere presa. C’ho provato in tutti i modi a sconfessare mia madre, a validare le mie scelte a cercare un riscatto. Ho fallito miseramente. Non posso meritarmi di più di un lavoro con le bestemmie sfruttata. Non posso. Oggi non vado bene per qualsiasi mansione.

“Pensavo: dovrebbe esserci un rituale per nascere una seconda volta: rappezzata, rinchiusa e poi riconosciuta idonea a riprendere la via.”

—  Sylvia Plath, La campana di vetro